PROGETTO PAESE
L’ITALIA HA BISOGNO DI UN “ PROGETTO – PAESE”
Un grande “Progetto Paese” serve anche per dare una svolta ai nostri rapporti con la Comunità Europea. Abbiamo imparato a nostre spese che con l’Europa la voce grossa non serve, soprattutto quando – è il nostro caso – siamo in difetto. Non ha alcun senso rinfacciare ad alcuni paesi europei deroghe e “sforamenti” passati. Occorre guardare avanti e dire con chiarezza, senza sotterfugi, che cosa intendiamo fare per rientrare nelle regole. Le regole, sia chiaro, possono essere cambiate e, probabilmente, quelle che l’Europa si è data in materia di deficit e debito vanno cambiate. Ma per cambiarle occorre avere le idee molto chiare e non sembra che il governo le abbia. Non basta dire che vogliamo maggiore flessibilità, parola dal significato evanescente che si presta a mille interpretazioni. Dobbiamo dare un preciso contenuto alle nostre richieste. Se non lo facciamo,sarà difficile evitare l’accusa che non vogliamo alcuna regola.
La nostra economia deve ripartire e per ripartire dobbiamo fare chiarezza con l’Europa e dobbiamo superare alcuni tabù tutti interni al nostro Paese e alla nostra cultura che incombono – avvelenandoli – sui nostri rapporti sociali. Ci riferiamo, in particolare, al ruolo delle imprese e del profitto, che alcuni si ostinano ancora a considerare una sorta di espropriazione ai danni dei lavoratori o come il frutto perverso dello strapotere del capitale sul lavoro.
Nel nostro Paese manca una vera cultura dell’impresa e del profitto. Su questo punto la politica è colpevolmente assente; si crogiola nell’ambiguità probabilmente per non scontentare nessuno. E non si rende conto che l’unico modo per non scontentare nessuno è saper spiegare con chiarezza, senza infingimenti, le decisioni che si assumono e di adoperarsi per acquisire intorno ad esse, il maggior consenso dei cittadini.
Occorre cambiare registro. Deve essere chiaro a tutti noi l’insostituibile funzione dell’impresa come motore della crescita e dell’occupazione, dobbiamo incoraggiare, soprattutto nei giovani, la capacità di innovare. Siamo convinti che sostenere le imprese e la capacità di iniziativa è il mezzo migliore per fare emergere i veri talenti, il cui apparto è indispensabile perché il nostro Paese possa dire la sua in un mondo che diventa sempre più competitivo.
L’Italia soffre di molti mali che vengono da lontano. Sono almeno 20 anni che il nostro Paese cresce poco, e comunque mediamente meno dei nostri partners europei i quali a loro volta, crescono nel loro complesso meno degli Stati Uniti ( per non parlare della Cina).
Senza un’adeguata cura, questi mali portano inevitabilmente al declino dell’Italia che sarà non solo economico ma anche etico-sociale: Se vogliamo evitare questo esito dobbiamo adottare opportuni e rapidi interventi. Questi non potranno essere costituiti, come è accaduto fin qui, da interventi occasionali, estemporanei, slegati e talora incoerenti, ma da una complessa strategia che coordini sistema i diversi interventi in una prospettiva verosimilmente pluriennale. Proprio per dare la necessaria coerenza agli interventi, occorre un Progetto-Paese, un progetto che elimini ogni forma di improvvisazione nell’azione di governo e le conferisce la dovuta organicità senza la quale è vano pensare di uscire dalle difficoltà nelle quali ci dibattiamo. Il Progetto-Paese ci aiuterà a fare chiarezza sui nostri rapporti con l’Europa . Questo è un punto decisivo. Noi dobbiamo dare prova concreta all’Europa che vogliamo effettivamente, sia pure con la dovuta gradualità, rientrare nelle regole. Dobbiamo mettere da parte sotterfugi e arroganza perché lo esige la serietà del nostro Paese e perché alla lunga essi sono sostanzialmente inutili.
Il Progetto, poi, aiuterà a risvegliare in noi cittadini il senso di appartenenza ad una grande Nazione, ricca di storia e di tradizioni e desiderosa di recuperare il posto che ha avuto in passato nella storia del mondo: oggi questo senso di appartenenza è pressoché smarrito, anche perché i governi che negli ultimi decenni si sono succeduti non hanno fatto nulla per tenerlo vivo, quando addirittura – pur senza volerlo – non hanno operato in senso opposto.
A parte tutto questo un grande Progetto-Paese è indispensabile per le due seguenti ragioni :
– per definire il ruolo che vogliamo avere in un mondo che diventa sempre più globalizzato;
– per sottoporre ad una radicale revisione la nostra macchina amministrativa, ormai obsoleta, costosa e sostanzialmente inefficiente.
GLI ASSI PORTANTI DEL “ PROGETTO – PAESE
Gli assi portanti del Progetto-Paese sono essenzialmente due :
– lo sviluppo dell’economia,
– l’attenzione ai soggetti deboli o, più in generale, la costruzione di un sistema di welfare rispettoso dell’uomo e della sua dignità.
Le due cose sono strettamente connesse: apparato produttivo e welfare sono inscindibilmente legati e, insieme, costituiscono l’unitario sistema socio-economico del Paese. A ben vedere la metafora della torta, pur tanto diffusa, è ingannevole per non dire sbagliata. Non ha molto senso, infatti, dire: prima ingrandiamo la torta e poi la distribuiamo. E ciò per la semplice ragione, che la dimensione della torta dipende da modo in cui intendiamo distribuirla. Produzione e distribuzione sono fenomeni interdipendenti nel senso che i meccanismi distributivi incidono fortemente sulla quantità della produzione. Non esiste, insomma, un “prima” e un “dopo”: vale a dire, prima produciamo e dopo distribuiamo. La società alla quale puntiamo vede il welfare in una posizione centrale e non, come accade oggi nel nostro Paese, in una posizione sostanzialmente residuale. Il welfare non può essere il volano per “aggiustare” i conti statali; le spese ad esso relative non possono occupare l’ultimo posto ma debbono essere ben più in alto nella gerarchia della spesa pubblica. Ci rendiamo conto che togliendo al welfare l’attuale carattere residuale, se ne irrigidisce l’onere e dunque si irrigidisce anche il bilancio dello Stato; cosi come ci rendiamo conto che, in concreto, ne derivano complessi problemi di sostenibilità: Ma tutto questo non può far venire meno la centralità del welfare in una società che non voglia perdere di vista l’uomo e la sua dignità. Naturalmente i conti debbono tornare, altrimenti costruiamo castelli sulla sabbia. E per farli tornare dobbiamo crescere, dobbiamo mettere le nostre imprese in grado di competere alla pari sui grandi mercati internazionali, dobbiamo consentire alle tante persone che hanno idee e capacità innovative di esprimere al meglio questa loro attitudine.
Il problema della sostenibilità del welfare non va sottovalutato ma non va neppure ingigantito. Nel nostro Paese vi sono ancora ampi margini per recuperare efficienza, soprattutto attraverso una migliore organizzazione dei servizi che dia maggiore spazio agli effettivi portatori di bisogno e riservi allo Stato il ruolo non di produttore ma quello ben più importante di garante del buon funzionamento del sistema dei servizi.
Noi siamo convinti che una rivisitazione del nostro sistema di welfare oggi caratterizzato da sovrapposizione, alti costi di gestione e inefficienze libererebbe risorse sufficienti a renderlo più efficace. D’altra parte anche se vi fosse un problema di costo, rimarrebbe pur sempre la domanda: quale futuro può avere una società che non riesce soddisfare i bisogni essenziali di una parte dei suoi componenti e perciò è soggetta a forti lacerazioni del tessuto civile che turbano costantemente la pacifica convivenza? Sarebbe molto miope un comportamento che guardasse solo agli aspetti di breve termine e non s’interrogasse sugli effetti di lungo periodo.
In questa materia la miopia viene, nel tempo, pagata pesantemente. Non si può ridurre un fatto di grande rilevanza etico-politica, un fatto di civiltà – qual è un buon sistema di welfare – ad un mero problema di conti. Prima di tagliare il welfare, negando a tante persone il ”minimo vitale”, vanno esplorate altre strade per tenere in equilibrio i conti pubblici. Naturalmente non si esclude che in caso di crisi particolarmente gravi anche le risorse per il welfare possano essere tagliate. Ma questo dovrebbe avvenire solo adottando procedure, molto chiare, che stabiliscano in anticipo – ad esempio in sede di approvazione parlamentare dei bilanci -come debbano essere fatti gli “aggiustamenti” dei conti qualora la finanza pubblica abbia un andamento difforme dalle previsioni e in quali specifiche condizioni possano essere ridotte le spese per il welfare.
Il nostro convincimento è che la rivisitazione del nostro sistema di welfare, possa liberare, a parità di condizioni, ingenti risorse e, sempre a parità di condizioni, possa migliorare la qualità dei servizi. Del resto basta guardarsi intorno. In campo sanitario, ad esempio, le persone veramente povere fanno fatica a curarsi e, quando in qualche modo ci riescono, debbono sacrificare spesso la loro dignità rassegnandosi a ricevere come una sorta di elemosina ciò che dovrebbero ricevere per diritto di cittadinanza. Molte patologie sono solo parzialmente curate e, spesso, proprio nella fase più delicata, il paziente viene abbandonato a SE stesso. Una conferma di questa amara realtà l’abbiamo dalla circostanza che in Italia una delle principali cause dell’usura è proprio la sanità. Si può discutere quanto si vuole intorno all’usura e alla sanità. Resta il fatto che tra l’una e l’altra non ci dovrebbe essere alcuna connessione; e invece c’è ed è anche molto stretta.
Certo nella nostra sanità vi sono anche casi di eccellenza, dovuti per lo più all’abnegazione e allo spirito di sacrificio di alcune persone. Ma non basta qualche luminoso esempio per mutare il complessivo giudizio.
futuroggi un "progetto paese" per l'italia
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