Questa pandemia, questa lunga mortale e invisibile battaglia, che lascia solo morti e feriti (non solo nell’animo umano), sta travolgendo, scombinandole, le strutture sociali ed economiche che pensavamo immutabili.

Nulla sarà più lo stesso: dai rapporti personali, ai rapporti sociali in genere, alle modalità di lavoro, ai problemi legati allo smog, ad esempio, alla sensibilità verso tutti i problemi legati al nostro rapporto con la Terra.

Il tempo, perciò, della grande spinta del capitalismo, la grande epopea degli ultimi due secoli, e quella conseguente del turbocapitalismo, sta volgendo al termine.

Proverò a procedere, seppur brevemente, con ordine.

I rapporti personali erano già cambiati, in parte, a seguito dell’attacco alle Torri Gemelle: paura dell’Altro, dove per altro generalizzato indichiamo una persona a noi sconosciuta, quindi nessun rapporto di fiducia ma una preventiva e assoluta sfiducia. Paura di una informazione non efficace e non efficiente. Eccesso di chiusura autoprotettiva verso il mondo sociale. Ricadute sulla economia globale, questo sarà un tema ricorrente.

A seguire, la crisi  economica del 2007/2008, che fu una crisi sociale ed economica di portata spaventosa per la tenuta dei sistemi dei vari Paesi coinvolti (una crisi soprattutto americana, esportata poi nel resto dei territori collegati a quell’economia). Anche in quel caso la cattiva economia, di casa nostra e del mondo occidentale, cercò di spiegare il tutto con la crisi dei mancati pagamenti dei mutui (semplifico), con il relativo ridimensionamento della classe media (ovunque), con un impoverimento generalizzato (almeno entro certi limiti) e dopo aver innescato un meccanismo di contagio, a catena, dei maggiori mercati finanziari. La crisi, inoltre, aveva messo in evidenza come il sistema bancario si fosse trasformato definitivamente (?) in un sistema finanziario: la Banca, come strumento, diventa solo una piattaforma finanziaria svalutando la sua funzione originaria che è sempre stata quella di sostenere anche il mondo produttivo, prestando i soldi (e facendoli circolare).

La domanda che mi pongo è: se con la crisi del 1929, che aveva già imposto la separazione tra le banche commerciali (che raccoglievano i depositi che per lo più venivano impiegati in titoli di stato, da una parte e, dall’altra, le banche di investimenti/banche di affari, che invece li impiegavano in speculazioni finanziarie, si era tentato di dare una risposta economica ad una situazione sociale in pericolo di frammentazione (cercando di mantenere in equilibrio i due sistemi, quello sociale…da cui discende quello economico), perché malgrado il tracollo del 2008, in Italia non si è corso ai ripari con politiche sociali adeguate? Ho omesso volutamente le “politiche economiche”, perché, proprio per quello che ho affermato prima, ritengo siano solo degli strumenti  che derivano dal coacervo globale delle politiche messe in campo per il funzionamento della società.

Ora, in epoca di pandemia sanitaria che, inevitabilmente, si è trasformata in pandemia sociale e, quindi, anche economica, il nostro modello sociale dovrà per forza cambiare. Il nostro Paese, devastato e ferito, dovrà mutare corso.

Quale lezione possiamo trarre da questa sciagura che si sta abbattendo sul nostro Paese:

  1. Dobbiamo investire in infrastrutture strategiche;
  2. Non abbiamo chi costruisce scenari futuribili. In questa nostra emergenza sanitaria, sociale ed economica probabilmente, ci avrebbe permesso di fare approvvigionamenti di materiali e presidi sanitari e di allertare le filiere produttive sia alla conversione che alla produzione diretta e immediata di materiale dedicato;
  3. Abbiamo troppo tagliato nel settore della sanità pubblica a favore di una sanità privata che rappresenta un ibrido (privata, ma con fondi pubblici. Il privato va bene…ma deve farlo con soldi suoi);
  4. Nel campo della formazione universitaria, dobbiamo fare di più. Togliere subito il numero chiuso e abolire l’esame di abilitazione alla professione per tutti i laureati;
  5. Non è possibile chiudere gli Ospedali di eccellenza come il Forlanini, ad esempio, “perché rappresentano un costo”: io voglio che il mio Paese spenda in un asset strategico e nella filiera sanitaria…..non il contrario;
  6. Investire molto di più nella ricerca di base (e non) e nella formazione a tutti i livelli. Siamo all’ultimo posto in UE per investimenti in ricerca e istruzione;
  7. La crisi ha evidenziato anche che la globalizzazione…è molto di più vicina a quello che è sempre stato detto: una glocalizzazione…un locale che viene sempre di più alla ribalta, come correttivo alla globalizzazione. Di conseguenza, basta con le delocalizzazioni, bene invece con le internazionalizzazioni di prodotti e di filiere, ma si deve ricominciare un nuovo rinascimento sociale ed economico anche industriale: puntare sulle nuove tecnologie, rendere l’Italia un forte hub non solo di rete internet di ultima generazione e attraverso i BIG DATA, ma una sorta di “Arabia Saudita delle energie rinnovabili” definizione data da Jeremy Rifkin per una nuova, e dal volto diverso, Rivoluzione Industriale e diventare, di conseguenza, polo europeo anche sfruttando, in parte, la sua proposta di Piano di sviluppo energetico della UE;
  8. Non aver paura, per provincialismi da bottega, di affermare – col dovuto rispetto – le richieste di un Paese che chiede e chiederà nei mesi a seguire decisioni chiare, politiche mirate e difesa del sistema sociale ed economico. Il piano B, forse, potrebbe essere quello paventato da Alberto Bradanini, ex Ambasciatore presso diverse sedi importanti, il quale scrive: “L’Italia dovrebbe dunque agire per suo conto – e a prescindere dalle decisioni che la Germania cercherà d’imporci tra 15 giorni – adottando subito quelle misure che possono mettere in sicurezza la nostra economia. Numerosi bravi esperti e studiosi del libero pensiero hanno esplorato alcune opzioni: l’emissione di CCF (certificati di credito fiscale), di minibote soprattutto il salto di qualità, l’emissione di biglietti di stato a corso legale senza debito, sulla falsariga delle 500 lire di Aldo Moro negli anni ’60-’70, tutte iniziative che sarebbero pienamente rispettose persino delle norme In particolare, i biglietti di stato a corso legale senza debito costituirebbero un salto quantitativo e qualitativo decisivo, consentendo allo Stato di creare tutta la moneta necessaria all’economia per riprendersi, senza dover gestire le obiettive complicazioni che un’eventuale uscita unilaterale dall’euro implicherebbe”. È una provocazione, ma se ne dovrebbe discutere;
  9. Infine, ricominciare ad investire in agricoltura e in tutta la sua filiera.

Dovremo, però, agire in fretta e con lucidità. Così, sono certo, ne usciremo.

Roberto Veraldi, Docente di Sociologia dello sviluppo economico – Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara