Non è questo il tempo dell’incertezza o dei dubbi. Il coronavirus oltre ad essere una grande emergenza sanitaria sta diventando una emergenza sociale. Nel nostro  Paese si comincia a percepire il rischio di una grande rabbia sociale. Aziende che rischiano di non riaprire, la disoccupazione che aumenta. Artigiani che hanno chiuso le botteghe non sanno quando e se potranno riaprire. Sempre più famiglie che non riescono ad arrivare alla seconda settimana. Il governo deve agire,  deve avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.

“O si inizia rapidamente a far arrivare dei soldi nelle tasche delle fasce più deboli oppure occorre distribuire generi di prima necessità – osserva Gian Maria Fara, presidente Eurispes  – il rischio è che le periferie delle grandi città sono delle bombe sociali pronte ad esplodere “. Se la solidarietà diffusa concorre alla tenuta sociale nei piccoli centri è nei grandi quartieri dormitorio che si soffre di più. Ed è in questi grandi quartieri che l’eco delle rivolte per il pane registrate nelle regioni del sud rischia di innescare reazioni a catena. Le periferie del sud stanno diventando polveriere sociali. Molti accostano questa grande emergenza sanitaria ad una guerra. Siamo in guerra, si sente dire continuamente. La guerra è il tempo dell’odio.

In guerra per sopravvivere si è costretti ad uccidere un altro uomo come recita la canzone di Fabrizio De André: la guerra di Piero. Ma Piero muore perché esita a sparare contro il nemico e paga con la vita la sua attenzione contro l’avversario.

Quello di oggi, invece, è il tempo della vicinanza e della solidarietà.  Si rischia la propria vita, come fanno medici e infermieri, per salvare quella degli altri.  I “ nostri angeli “,  gli “ eroi in camice  bianco “ oggi vengono chiamati. Ma dove era la politica quando per medici e infermieri i concorsi erano bloccati o i medici italiani andavano all’estero perché in Italia sono sottopagati.  Il nemico è comune e esterno all’umanità e gli uomini si uniscono per sconfiggere la grande minaccia. La grande paura è che la sempre più larga fascia di nuovi poveri tema più la fame che il coronavirus, ma anche che nelle pieghe della crisi più nera, che al momento i comuni affrontano mettendo in campo iniziative di assistenza con le poche risorse a disposizione, si insinui la criminalità organizzata e che l’usura faccia balenare a molti il miraggio di quel denaro che sembra salvare l’oggi ma uccide il domani. C’è il rischio che le mafie approfittino della situazione con la loro liquidità per costruire un welfare criminale tra usura e corruzione.

Le Monde nell’edizione di sabato 28 marzo titola a tutta pagina “ la disoccupazione di massa, minaccia mondiale “. Il rallentamento brutale dell’economia legato all’epidemia di Covid19 ha già conseguenze sociali molto pesanti in numerosi Paesi. Un po’ dappertutto in Europa – si legge sul giornale francese – il tasso di disoccupazione esplode e alcune imprese procedono a licenziamenti massicci o ricorrono alla disoccupazione parziale.  Molti governi promettono delle indennità ai dipendenti e incentivi alle imprese per mantenere il loro personale al lavoro. Negli Stati Uniti oltre 3 milioni di persone, in una settimana, si sono iscritti nelle liste per avere il sussidio di disoccupazione, superando le cifre della crisi finanziaria del 2008. La pandemia dovuta alla propagazione del coronavirus ha portato gli Stati europei a prendere una serie di misure destinate ad assicurare ai cittadini un minimo di aiuti. In Norvegia il tasso di disoccupazione è passato dal 2,3% della popolazione attiva al 10,4% in un mese, un record dopo la seconda guerra mondiale. In Austria 163 mila persone si sono iscritte nelle liste di disoccupazione  in dieci giorni, facendo registrare un aumento del 40%.  In Svezia in una sola settimana dal 16 al 22 marzo  14 mila dipendenti hanno ricevuto un preavviso di licenziamento contro una media abituale di 3 mila al mese. Gli hotel svedesi, Scandic, hanno licenziato 2 mila persone quasi la metà del loro personale. L’organizzazione internazionale del lavoro pensa che ci potranno essere tra i 5 e i 25 milioni di disoccupati in più nel mondo di cui la metà nei paesi più sviluppati. Vista la grande crisi alcune aziende europee si stanno riconvertendo anche nel produrre materiale sanitario ( mascherine, camici, ventilatori ). Un po’ di speranza per una situazione che non può essere sostenuta per molto tempo. Al di la di tutto questo la disoccupazione di massa sarà inevitabile.

Serve sempre più solidarietà anche dopo questa emergenza.

MAURIZIO BERTUCCI