Negli ultimi venti anni molti italiani hanno pensato che fosse conveniente o inevitabile affidarsi ad un leader forte: un trascinatore indiscusso in grado di designare ministri e deputati e di risolvere da solo, come in una magia, le difficoltà del paese. E’ stato perfino accettato o subito che i deputati, che in tutte le democrazie del mondo vengono di solito scelti dagli elettori, fossero nominati da una manciata di leader a capo di partiti personali, governati talvolta soltanto per mezzo di imperiosi proclami. Si è diffusa una infatuazione collettiva per il cosiddetto leaderismo, incarnato da personaggi che hanno dato l’impressione di poter liberare il paese dai riti inconcludenti della vecchia politica per trascinarlo, vincendo di slancio le resistenze e saltando gli ostacoli, nella modernità.
Il leaderismo ha mietuto consensi perché è sembrato determinato a lottare contro gli incubi che ormai assediano la nostra vita: la burocrazia che ci rallenta e ci esaspera , l’inefficienza e le miserie di una repubblica invecchiata. Il leaderismo, infine, è apparso come lo strumento che avrebbe consentito di recuperare il tempo perduto, imponendo soluzioni semplici e veloci a problemi da troppi anni irrisolti. Ha preso corpo cosi un’illusione euforica, alimentata dalla propaganda invasiva degli spettacoli televisivi, e una valanga di chiacchiere, spacciate per programmi di lavoro con innegabile abilità di comunicazione, ha sostituito la politica, ma non ha prodotto che il nulla.
Senza un progetto serio, un’idea o un pensiero mediato, il paese è precipitato nella recessione. In un rapporto redatto dagli analisti di Brigdewater Associates ( uno dei fondi di investimento più importanti del mondo ) si legge testualmente : “ Le condizioni in Italia sono depresse come non lo erano mai state dalla fine della seconda guerra mondiale. E poiché l’economia italiana non è competitiva, queste condizioni probabilmente persisteranno. “
Dopo l’annuncio di rivoluzioni miracolose, e tante promesse svanite, lo smarrimento degli italiani è evidente. Comincia ad essere sempre più chiaro che è sbagliato il modo attuale di concepire la politica. Il leaderismo è un fenomeno sconosciuto nelle nazioni occidentali. L’uomo solo al comando esiste solo nelle periferie del mondo. Negli Stati Uniti, in Germania, in Francia i leader sono personalità di rilievo che svolgono una funzione di guida per un determinato periodo, il loro potere non è mai illimitato ed è sottoposto sempre al controllo del Parlamento e della opinione pubblica. Negli Stati Uniti, la costituzione vieta che un presidente possa governare per più di due mandati: otto anni in tutto, per impedire che si crei un potere personale eccessivo, inconcepibile in una grande nazione. Anche per questo le nomine di competenza del Presidente – dagli ambasciatori ai vertici dei servizi di sicurezza – devono superare il vaglio severo del Senato. In Germania, il ruolo di guida politica del Cancelliere è bilanciato dall’influenza che esercitano i capi regionali del suo partito: nessuno può essere onnipotente.
Le società moderne devono fronteggiare problemi ed eventi sempre più complessi che richiedono la riflessione e l’impegno di una classe dirigente vasta che di solito emerge – negli uffici, nelle professioni, nelle imprese, nelle organizzazioni del volontariato e nei sindacati – per meriti e quasi mai per cooptazione. Invece, nel nostro leaderismo il capo decide la “sua” classe dirigente e la impone nei ruoli di governo anche quando è palesemente priva delle qualità necessarie. Un sistema, questo, che porta inevitabilmente la superficialità al potere.
I partiti personali, frutto avvelenato di un leaderismo provinciale e inconcludente, non sono in grado di innovare niente. Erano la caratteristica della vecchia Italia prefascista, cosi diversa e lontana dai più avanzati paesi europei. Per evitare un triste ritorno al passato, l’Assemblea Costituente redasse e approvò l’articolo 49 della mostra Costituzione, che recita : “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partito per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale “. Rileggendo gli atti dell’Assemblea Costituente, un documento denso di passione civile, si coglie l’ansia dei padri della Repubblica di evitare la riproduzione della democrazia rattrappita dei primi anni del ‘900, quando i cittadini erano ammessi al voto ma non partecipavano alle decisioni politiche.
I nuovi partiti, non più feudi di una persona, avrebbero dovuto costituire un collegamento permanente tra i cittadini e le istituzioni. Per rendere efficace il dettato costituzionale sarebbe stata necessaria una legge. Ma la legge non si fece. Sicché i partiti subirono con il passare degli anni una trasformazione rovinosa : il leaderismo è stata la risposta sbagliata alla loro crisi. Ma senza la partecipazione di tutti i cittadini forse sarà impossibile salvare l’Italia.